IL MURO DEL LINGUAGGIO E L'ODIO RAZZIALE
La lingua dell'Immaginario
E' molto frequente per gli esseri parlanti
(i " parlesseri
" come li chiama Lacan
) stabilire rapporti interpersonali prevalentemente per via immaginaria
, cosa che se da una parte è anche giusta, soprattutto inizialmente -altrimenti non proveremmo "simpatia" per nessuno- dall'altra corriamo fortemente il rischio di parlare tra noi senza capirci, perché ognuno vorrebbe che l'altro gli dicesse esattamente quello che s'aspetta ("immagino che tu mi voglia dire questo", "uffa, mica mi aspettavo una tale risposta, mi deludi!" eccetera) come è frequente anche sui "social" dove molti sembrano avere un bisogno ossessivo e disperato di conferma, dei "like".
Insomma dobbiamo per forza piacere, e vogliamo che anche l'altro ci debba piacere per forza, altrimenti è... uno stronzo, o un nemico.
L' odio razziale
nasce da qui: è una patologia collettiva dell'immaginario
, dal momento che non esistono biologicamente le diverse razze
, ma solo le molte etnie
, essendo la specie umana
una, e tale da non contemplare organismi geneticamente modificati
o geneticamente selezionati
attraverso gli opportuni accoppiamenti, come si fa negli allevamenti per creare, qui sì, le diverse razze animali, che dunque esistono solo tra gli animali, e solo tra quegli animali che subiscono la manipolazione umana, come gli animali da allevamento, o gli animali domestici, chiamati spiritosamente da Lacan " d'uomestici
", per l'appunto.
Ritornando agli umani, alla specie umana, nella quale -se proprio si vuole continuare ad usare questo termine- siamo tutti della stessa "razza", Il linguaggio
con cui si parla nell'immaginario funziona come uno specchio riflettente che fa per giunta anche "muro" tra noi e l'altro, perché serve essenzialmente a rifletterci specularmente nell'altro: in altri termini parliamo non all'altro, ma a noi stessi tramite l'altro.
l' Altro non speculare,
invece, l'Altro da noi, non l'altro in noi dell'immaginario, l'Altro cioè che dà la risposta che non ci aspettiamo, è sempre al di là di questo muro del linguaggio, cosa che permette a Lacan di dire: " io parlo ai muri
" e anche: " l'Altro è al di là del muro del linguaggio
". L'Altro con la A maiuscola, perché quello che invece è al di qua del muro del linguaggio è sempre l'altro con la a minuscola, l'altro speculare.
Ed è proprio lì, al di là del muro del linguaggio, che troviamo sempre l'Altro che ci delude, e che spesso rifiutiamo, arrivando persino ad odiarlo, a fargli la guerra, a cacciare via e finanche ad ucciderlo: quando non riusciamo cioè a tollerare che non sia come noi, speculare a noi, come noi vorremmo che esso sia nel nostro rassicurante immaginario.
Dunque è difficile uscire dalle secche dell'immaginario per incontrare, nel mondo condiviso del patto simbolico, l'Altro da noi, unica condizione per stabilire rapporti più soddisfacenti, e anche per amare, come capacità di rinunciare alle pretese della identificazione immaginaria
con l'altro, e tollerare che il vero Altro è sempre al di là queste, e che dunque, ci deluderà sempre un po'.
Spesso solo un' analisi
ben fatta, e fatta fino in fondo, può aiutare ad arrivare a riconoscere che l'Altro come noi lo vorremmo non esiste, perché manca sempre proprio di quello che noi cerchiamo, e ad accorgersi che una tale scoperta non è affatto una sconfitta, ma un recupero straordinario: quello di riuscire a convivere con l'Altro da noi, avvertendo certo anche la delusione, per non dire il fastidio, ma per starci poi neanche tanto male, arrivando persino ad amarlo.
