LA MASCHERA, LA VERITÀ, IL DESIDERIO
il godimento dell'Altro
Forse non tutti sanno che la person
a che noi siamo, e attraverso cui siamo riconosciuti, è in effetti quella " maschera
" che, anche senza volerlo, indossiamo e con la quale ci presentiamo.
Persona infatti deriva, sia in latino, che in greco, dal termine etrusco " persu
" che designava la maschera che indossava l'attore per incarnare appunto il " personaggio
" che rappresentava.
Persona è dunque la maschera che incarna il personaggio che ognuno di noi ritiene di essere
.
In questo senso potremmo dire che la maschera è l'apparizione in superficie della verità
soggettiva e che nasconde dunque non il vero, ma il reale di ognuno di noi, quel reale
che ci tormenta e di cui non vorremmo sapere perché, in quanto sconosciuto, ci fa orrore.
E' per questo che molte volte sentiamo i nostri pazienti, all'inizio delle loro analisi, dirci della loro paura che l'analisi
possa "scavare dentro e far emergere le parti più brutte", manifestando con questo timore l'angoscia per il proprio reale soggettivo, per quel "nuovo" di cui non si sa ma che si vorrebbe arrivare a sapere
.
Ma in che modo ognuno di noi arriva a costruire la propria maschera, che rivela di quella verità soggettiva che per questo Lacan
diceva avere la "struttura della finzione"? Vi arriviamo attraverso l'Altro. Ancora una volta è Lacan a dircelo, in maniera mirabile, nello scritto intitolato " Giovinezza di Gide o la lettera e il desiderio
" (Scritti vol. II , pag. 751): " L'ideale dell'Io
, di Freud
, si dipinge su questa maschera complessa, e si forma, con la rimozione
di un desiderio
del soggetto, attraverso l'adozione inconscia dell' immagine
stessa dell'Altro che di questo desiderio ha il godimento
insieme al diritto e i mezzi." Il che vuol dire, né più né meno, che -possiamo rassegnarci- in noi, ai nostri occhi e agli occhi del nostro prossimo, non c'è niente di più simile a noi stessi di quella maschera che noi prendiamo e indossiamo in seguito alla nostra identificazione simbolica
con l'Altro
, da noi considerato come colui che detiene il diritto e i mezzi di poter godere del nostro desiderio.
Per questo siamo continuamenti interessati all'Altro, se non tormentati: pensiamo che sia l'Altro ad avere l' "usufrutto" del nostro desiderio, a godere di quello che, essendo nostro, non è suo.
In questo senso, il concetto di godimento, in Lacan, è un concetto "giuridico", non psicologico, almeno nella misura in cui il godimento di cui si tratta è il godimento nell'Altro.
