EMOZIONI E AFFETTI
Una differenza fondamentale tra la psichiatria
, le psicoterapie non analitiche
, le scienze neurocognitive
e la psicoanalisi
, in particolare quella lacaniana
, è che mentre le prime, considerando possibile la relazione diretta del soggetto con il mondo in cui vive, vedono nelle emozioni
e negli affetti
il principio regolatore degli stati di armonia e di equilibrio e nell' angoscia
il fattore di disarmonia e di disturbo, per la psicoanalisi, invece, il soggetto
non è in relazione diretta con il mondo
, bensì con l'Altro
attraverso quella particolare articolazione del desiderio
che è il fantasma
soggettivo, ragion per cui il soggetto non può che ritrovarsi in uno stato di irriducibile inadeguatezza.
Affetti ed emozioni non sono dunque dimensioni spirituali, ma significanti
di ciò che, catturato nelle maglie del fantasma e non potendo arrivare a far presa sul mondo, trova luogo nel corpo
come istanza di godimento
che lo afferra facendone un corpo parlante.
E' proprio in questo che la psicoanalisi freudiana assume il suo carattere di scabrosità: Freud ha dimostrato, sconvolgendo il mondo, che non esiste affetto su cui non si "appoggi" la pulsione sessuale
, a cominciare dal bambino, nel quale l'atto della suzione è pulsionalizzato dall'azione della madre che, mentre lo allatta, gli parla e lo "seduce" facendone un'altra "cosa": il desiderio del proprio desiderio, il proprio fallo
.
L'affetto non è dunque quel movimento puro e innocente, asessuato come si dice, che ci eleva dalla pulsione, ma al contrario è quanto di più sessualizzato possa esistere, addirittura più dell'atto sessuale stesso se questo, come il perverso
ci insegna, può arrivare ad essere spogliato di ogni componente affettiva.
Se l'affetto dunque è ciò che nel corpo si colloca come godimento in sé, sarà l'angoscia
e non l'affetto a regolare l'accesso del soggetto al mondo
e al reale
.
Se l'affetto segna l'essere nei recinti sicuri del significante, l'angoscia ne denuncia il suo debordamento. E ancora, se l'affetto spinge all'agire, all' acting
come si dice, l'angoscia al contrario testimonia di un atto
, di quell'atto soggettivo che è atto di desiderio, dunque dell'ordine non delle pulsioni, ma dell' etica
.
Per questo l'angoscia non è un disturbo, non è un sintomo, non è un significante, ma è ciò che segna il tempo di avvicinamento, e di avvistamento, del soggetto al reale, e dunque anche al reale del proprio desiderio. In questo senso l'angoscia è "ciò che non inganna", in quanto, a differenza dell'affetto che, catturato dalla pulsione sessuale, e immesso nell'articolazione significante, infatti inganna, essa non si appoggia invece a nulla.
L'affetto maschera, l'angoscia rivela, e rivela, battendone il tempo, che si tratta del reale. Per questo l'angoscia è ciò che media la relazione del soggetto con il mondo, una relazione che è sempre di sconfinamento e che non può per questo che essere sempre di inadeguatezza e di smarrimento
.
