L'Erranza del desiderio
L'Erranza del desiderio
Il desiderio umano non è semplicemente una questione di volontà , né coincide con la decisione, o si completa con l'atto puro della scelta, né si riduce a mera spinta pulsionale , anche se dalle pulsioni prende forza e carattere di ineludibilità, essendone la pulsione, per come dire, l'architrave, vale a dire ciò che fa sì che il desiderio causi la domanda che il soggetto rivolge all'altro.
E non è neanche, il desiderio, ciò che, pur cercandolo, trovi il suo oggetto da qualche parte, perché il desiderio non può trovare mai l'oggetto che cerca, in quanto quest'oggetto non esiste.
Come l'Isterica insegna, il desiderio non trova il suo oggetto nella domanda che rivolge all'altro: l'oggetto del desiderio non è mai l'oggetto della domanda, in quanto è proprio il desiderio ciò che dalla domanda viene escluso.
Né il desiderio - come illusoriamente si crede - sembra destinato a ritrovare il proprio oggetto nell'amore, nell'altro dell'amore, che anzi - paradossalmente - oggetto amato e oggetto del desiderio - ed è questo lo scandalo del desiderio - non coincidono mai , tanto che - come gli amanti sanno - l'amore "manca" proprio di ciò che il desiderio cerca, il suo oggetto, essendone l'amore piuttosto la causa: l'amore mette in causa l'oggetto del desiderio facendolo mancare .
Il desiderio allora, è piuttosto una "struttura" soggettiva di "mancanza" radicale, anzi è il soggetto stesso, preso dalla "mancanza" che lo costituisce e lo sostiene, ma che in quanto "mancanza" (" il desiderio è la metonimia della mancanza", dirà Lacan), in quanto "mancanza ad essere", lo destabilizza, lo rende incerto, vacillante, e soprattutto non lo garantisce affatto sul soddisfacimento di un ritrovamento, perché quello che il soggetto ritrova non sarà mai quello che avrà cercato.
Possiamo dire che il desiderio è quella condizione che cerca soltanto quello che non c'è, vale a dire niente . L'analista questo lo sa bene (o almeno si spera): sa che la domanda dell'analizzante - apparentemente ora di cura, o di aiuto, o di guarigione, o di ascolto, o di crescita, o di questo, o di quello - non è mai domanda di questo o quello, ma è domanda di domanda stessa: "vengo qui perché ho da domandare, ma non so cosa, la mia domanda è di domandare e basta. Non cerco niente e niente lei può darmi, se non ascoltarmi senza darmi niente, perché tanto quello che mi risponderebbe o mi darebbe, non sarebbe mai quello che cerco." Sappiate che qualsiasi risposta diate non è mai quella che l'altro vuole, non ti do quello che mi chiedi perché non è quello che tu vuoi, più o meno così recita a più riprese Lacan.
L'analista è dunque impegnato su un niente da dare: proprio per questo è necessario che si faccia pagare, altrimenti il niente non troverebbe argine, e l'analista, attraverso la frustrazione di quel niente da dare, non sarebbe in grado di arrivare ad essere "colui che fa da supporto alla domanda, non, come si dice, per frustrare il soggetto, ma perché riappaiano i significanti in cui è trattenuta la sua frustrazione" (Lacan, "La direzione della cura e i principi del suo potere", in Scritti, Einaudi, pag. 164).
A differenza di quello che avviene in tutte le altre situazioni di psicoterapia, l'analista supporta la domanda, ma non vi risponde, perché alla domanda dell'analizzante non vi è risposta . Come per primo Freud capì dall'Isterica.
Ma qual è questo niente che cerchiamo, che poniamo come oggetto di un desiderio impossibile ad essere soddisfatto se non, come Freud comprese e ci dimostrò, soltanto in forma allucinatoria, e dunque solo nel sogno? Il niente che noi cerchiamo pensandolo come oggetto ritrovabile è invece l'oggetto perduto per sempre, e che dunque, in quanto tale, si trova solo dove noi non possiamo più andare a riprenderlo, dove lo abbiamo lasciato per non poterlo riavere mai più: alle nostre spalle, nel passato, mentre noi lo vediamo, come un miraggio, lì, davanti a noi, a un passo da noi, o in un futuro che si compirà attraverso i nostri auspici, quindi, non alle nostre spalle, ma davanti a noi, nell'altro o negli oggetti infiniti di cui disponiamo, e a cui chiediamo il risarcimento - impossibile - di ciò che per sempre abbiamo perduto. Il "fantasma fondamentale" che ci abita è proprio questo: supporci come destinatari di un risarcimento che dobbiamo saper ottenere dall'Altro, e supporre al tempo stesso che l'Altro stia lì per soddisfare questa nostra attesa, essendo noi in grado di far sì che se ne renda conto attraverso la domanda che gli rivolgiamo.
Insomma, il desiderio altro non è se non l'effetto di quella perdita originaria a partire dalla quale possiamo costituirci come soggetti e che Freud ha indicato come castrazione, e dunque, possiamo considerare il desiderio come il modo attraverso cui ci ritroviamo a farci i conti. Il desiderio è il dono che ci deriva da una perdita, è la la cambiale del debito che la nostra vita deve alla morte.
Il desiderio è perciò una questione etica, che proprio per questo è anche ciò che ci rende singolari, unici e soli, perché rimanda il soggetto all'origine del suo dire soggettivo: "Chi sono?", "Cosa voglio?", ma ancor di più, giacché il desiderio cerca il suo oggetto nell'altro, è dall'altro che il soggetto vuole la risposta, e dunque è all'altro che rivolge la domanda: "Cosa vuoi che io sia?", che è domanda di riconoscimento dell'essere, dell'essere il desiderio dell'altro. Per questo la domanda del desiderio non vuole risposta, vuole essere solo "interpretata" .
Il desiderio è qui ciò da cui origina la domanda che si perde nell'enunciato , facendo del soggetto dell'enunciato un soggetto attraversato dall'enigma, dall'equivoco, dal perturbante.
In quanto all'origine di quel dire cui pure si sottrae, è proprio al desiderio che Lacan si riferisce quando pronuncia quella famosa, enigmatica, frase che apre "Lo stordito": " Che si dica resta dimenticato dietro ciò che si dice in ciò che si intende " (in "Altri scritti", Einaudi, pag. 445): il desiderio è ciò che nel dire non può rientrare, ciò che al detto non arriva se non come "mancanza a dire", ciò che fa "resto" al dire nel soggetto. Un dire che, non trovando le parole per il desiderio di cui pure vorrebbe dire, resta un dire girovago, errabondo e che trova nel suo continuo spostamento su altro la sua struttura. Per questo possiamo dire che se il desiderio è la metonimia della mancanza, la struttura del desiderio è per se stessa struttura metonimica .
Per questo, il nostro desiderio, oltre che essere il desiderio dell'Altro - nelle due formule dell'Altro oggettivo e genitivo - è quella struttura metonimica che - traumaticamente - pone il soggetto sempre nella posizione di desiderare continuamente altro.
E se il desiderio serve all'amore, in quanto trova nell'amore la domanda del desiderio dell'Altro, la domanda di fare, come dice Lacan, esperienza del desiderio dell'Altro, dal canto suo l'amore lascia però continuamente insoddisfatto il desiderio stesso, in quanto l'amore si serve delle parole, e nelle parole il desiderio non può trovare mai il suo luogo. Cosa che fa dell'amore anche la passione dell'ignoranza, dell'ignoranza su quello stesso desiderio che lo causa: lo scandalo dell'amore è che si regge su un desiderio di cui, pur non potendone fare a meno (un amore senza desiderio è un desiderio morto, dirà Lacan), non sa assolutamente nulla. E' del tutto inutile porre agli amanti la domanda: perché vi amate? perché lo ami? perché la ami? Non vi è risposta possibile al perché si ama, si può solo rispondere: so che lo/la amo, ma non so perché! Nulla come l'amore si regge su un buco di sapere: per questo gli amanti devono continuamente rassicurarsi sul loro amore, per questo devono sempre parlare d'amore, per questo di amore se ne parla tanto. Per questo l'amore è un discorso.
Se allora la struttura dell'amore è essenzialmente discorsiva, metaforica, di continuo accrescimento di senso, quella del desiderio è essenzialmente struttura a-discorsiva, di spostamento sempre su altro, è struttura metonimica, di continua sottrazione di senso.
Se l'amore è unitivo, discorsivo, e pretende la certezza e la stabilità dell'ancora, il desiderio è erratico, inquieto, fuori senso e fuori discorso.
L'amore è dell'ordine del dicibile, laddove il desiderio è dell'ordine dell'indicibile: è il reale che, pur causandolo, non entra nel discorso d'amore, e che torna uguale e allo stesso modo, come sanno gli amanti, anche quando decidono di porvi fine. Il desiderio serve all'amore ma non sempre lo segue come pure si vorrebbe. "Si può amare una persona e addirittura desiderane un'altra": è ancora Lacan a parlare! Per questo, come abbiamo visto, non è l'amore il luogo della soddisfazione del desiderio, ma solo quello della sua continua causazione .
Il desiderio è invece il luogo della insoddisfazione radicale del soggetto , e l'amore il discorso che si intreccia per accoglierla e permettere agli amanti di arrivare ad amarsi pur scambiandosi quello che non hanno, mancanza, niente e a patto di tollerare il continuo errare del desiderio... dall'Altro a un altro.
