IL SOGGETTO E IL SUO DESIDERIO
Domanda di riconoscimento e domanda d'analisi
Lacan definisce il soggetto come "ciò che un significante rappresenta per un altro significante", per sottolineare il fatto che gli esseri umani sono tali solo nella misura in cui si definiscono attraverso la parola, in primis attraverso quella parola che è il nome che è stato imposto loro dai genitori e con il quale si presentano ad altri esseri umani a loro volta dotati di un nome.
Dunque, siamo soggetti solo se rappresentati da un significante presso un altro significante.
Di conseguenza, è impossibile sentirsi soggetti se non attraverso il riconoscimento proveniente dall'Altro, cosa che permetterà a Lacan di pronunciare hegelianamente che "l'uomo è il desiderio dell'Altro", proprio per dire che un soggetto può sostenersi come tale solo se come tale è riconosciuto dall'Altro, solo se "desiderato" dall'Altro, a patto però che anche l'Altro senta, a sua volta, di non poter fare a meno di essere, anche lui, riconosciuto, cioè, reciprocamente "desiderato".
Si comprenderà, a questo punto, come il desiderio umano verso l'Altro reclami sempre una reciprocità che lo alimenti e come, al tempo stesso, comporti anche il sentimento della mancanza dell'Altro. E allora, se è il desiderio che ci sostiene come soggetti, ne deriva necessariamente che il soggetto umano si sostiene su una mancanza.
Per questo, non è facile sostenersi sul proprio desiderio, non è facile riconoscersi soggetti desideranti, meglio ripiegare sulla via del narcisismo, meglio escludere l'Altro dal proprio desiderio. Non desiderare niente e nessuno se non se stesso è l'opzione del narcisista rispetto al desiderio, al fine di potersi illusoriamente realizzare come un soggetto pieno, non mancante di nulla, senza sapere che invece ne sta piuttosto abolendo lo statuto. Lo statuto del soggetto si fonda sul buco del desiderio e non sul tutto pieno del godimento narcisistico.
In effetti, successivamente, Lacan, si renderà conto che il soggetto desidera anche escludersi dal desiderio dell'Altro per confinarsi in quella sorta di godimento "autistico" che lo rende un Uno senza l'Altro, un Uno-tutto-solo. Quindi un po' autistici e narcisisti dobbiamo pur esserlo, ma mantenendo una porta aperta al desiderio, cioè all'Altro.
Naturalmente, una tale complessa articolazione del soggetto con il suo desiderio non può compiersi nella vita cosciente del soggetto, vale a dire nel linguaggio, poiché il desiderio resta sempre fuori dalla parola della quale pure si serve per formulare la sua domanda, che è appunto sempre domanda di riconoscimento dell'Altro. Il desiderio è dunque inconscio, per questo anche indistruttibile.
Freud vedeva infatti nel sogno, e non nella realtà, il luogo della realizzazione del desiderio. Nella realtà, invece, il desiderio è destinato a rimanere insoddisfatto e il soggetto non può che sperimentarne la frustrazione.
Ma è proprio la condizione irriducibilmente insoddisfatta del desiderio a far sì che esso - come dice Lacan - "incrociando la parola sulla linea del significante" diventi domanda e il soggetto possa incontrare l'Altro.
Per questo, nel sogno, quando il desiderio tenta di incrociare la parola, che è sempre rivolta all'Altro, per farsi domanda e sottrarsi quindi ad una soddisfazione solo allucinatoria, il sogno bruscamente si interrompe e il soggetto si sveglia. Il desiderio, infatti, è nel suo centro "bucato" e dunque è struttura vuota, è mancanza
Il desiderio è perciò quel "reale" che non può entrare nella parola, e che nel sogno costituisce quello che Freud definisce, a proposito del famoso sogno di Irma, "l'ombelico del sogno", vale a dire il punto del risveglio, perché del non "rappresentabile".
La soddisfazione del desiderio è dunque sempre dell'ordine dell'allucinatorio e dell'autoerotico e quindi, là dove vi è soddisfazione del desiderio, lì l'Altro non potrà mai essere incontrato.
E' la sua frustrazione che consente invece la trasformazione del desiderio in domanda, permettendo al soggetto di incontrare veramente l'Altro.
L'Altro, il vero Altro, è sempre alloerotico, in quanto frustra il desiderio, ma risponde alla domanda. Come fa per esempio l'analista, in quanto non è possibile che si impianti un'analisi se non frustrando la soddisfazione del desiderio affinché possa organizzarsi quella domanda di riconoscimento che è il motore vero e proprio di ogni analisi che non proceda lungo l'asse immaginario mirando solo alla soddisfazione allucinatoria - ed autoerotica - del desiderio.
L'Altro che invece accetti di essere il polo di soddisfazione del desiderio - come è il caso delle psicoterapie che ruotano intorno al "sostegno" o all' "empatia", o, come sembra essere di moda oggi, all' "uso del controtransfert" - evita la frustrazione, ma non risponde alla domanda, in quanto, costituendosi come un altro autoerotico, ipso fato si esclude come l'Altro della domanda di riconoscimento del soggetto.
In analisi, l'Altro si incontra, non lungo la via della soddisfazione del desiderio, bensì lungo quella della sua frustrazione: solo in questo modo, frustrandolo, il desiderio può essere messo in causa, rendendo così possibile il transfert, che è il vero motore dell'analisi vera e propria.
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